di
Valerio Morabito*
La
crisi economica
che ha travolto gli Stati Uniti d’America e l’Europa, ha smascherato una parte
del sistema capitalista che ha fatto del non rispetto delle regole una delle
sue bandiere. Nei mercati finanziari mondiali pochi si sono arricchiti a danno
di molti. La finanza creativa ha generato un benessere fittizio sfociato nella
crisi dei mutui subprime, che per
effetto della globalizzazione si è diffusa a macchia d’olio in tutto il mondo. In
questa situazione sono diversi gli studiosi che stanno cercando di trovare una
via d’uscita alla crisi economica e molti di loro hanno riscoperto una parola
che le politiche liberiste avevano messo da parte: etica. Un termine, a mio
modo di vedere, che deve camminare di pari passo con l’economia se si vuole
uscire da questo tunnel.
Etica
ed economia
devono tornare a collaborare e a completarsi a vicenda. Non c’è niente di nuovo
in questa ricetta. Occorre soltanto ricordare com’è nata l’economia e come, con
il trascorrere dei secoli, la sua funzione è degenerata quando si è allontanata
ed affrancata dalla filosofia e dall’etica. Gli esperti evidenziano tre fasi in
questo rapporto: in una prima fase economia e filosofia sono intrecciate tra
loro, in un secondo momento si distaccano, mentre nei primi del Novecento si
riavvicinano in maniera equivoca.
L’economia esiste sulla
faccia della terra da quando è comparso l’uomo. Questa disciplina si è palesata
nel momento in cui si è stabilito il valore di scambio. È chiaro che l’economia
nasce prima della filosofia, perché concerne la base della regolamentazione
umana. Sin dalla sua nascita l’economia esiste per stemperare la ferocia tra
gli uomini e quindi ha una base etica indiscutibile. L’autonomia dell’economia
viene meno nel momento in cui nasce la filosofia, che pone sotto la sua
protezione la disciplina economica. Da questo momento in poi i filosofi
iniziano ad occuparsi di tematiche economiche: Platone le affronta in
particolar modo nella Repubblica ed
Aristotele è il primo a parlare di economia politica. Nell’Etica Nicomachea il filosofo di Stagira espone un discorso di
economia monetaria, in cui sostiene che il valore della moneta è un’unità di
misura al fine di scambiare le merci. Nell’antichità e nel Medioevo l’economia
non si emancipa dalla filosofia. Nel Medioevo, età contemplativa per
eccellenza, l’attività economica è legata a pratiche religiose e metafisiche.
Tutto
cambia
nell’epoca moderna con l’affermarsi del paradigma galileiano, che ribalta la
supremazia della filosofia sulla scienza. È chiaro che il rapporto tra
filosofia ed economia è destinato a mutare radicalmente. L’economia moderna è
fortemente caratterizzata dalla visione di Thomas Hobbes e di Adam Smith.
Quest’ultimo, che prima della cattedra a Glasgow in economia è stato titolare
di cattedra in filosofia morale, sostiene che «il prezzo reale di una merce è
uguale al lavoro svolto». È con Smith che l’economia diventa scienza autonoma
ed è sempre il filosofo ed economista scozzese ad affermare, rifacendosi a
Vico, che l’uomo è vizioso, però, per stare insieme con gli altri ha limitato
la sua viziosità.
Nell’Ottocento Karl Marx
espone al mondo le sue tesi rivoluzionarie e fa del legame tra filosofia ed
economia un nesso inscindibile ed irrinunciabile. Tutta la visione economica
del filosofo del comunismo si fonda su una base filosofica ed i costrutti umani
si possono spiegare rifacendosi all’economia. L’intelligenza di Marx sta nel
costruire una struttura economica su una tesi filosofica. Sempre in questo
secolo l’onda lunga dell’Illuminismo genera il Positivismo, che è convinto di
ottenere una verità oggettiva (mito dell’oggettività scientifica). Anche
l’economia, che vuole essere scienza, cerca di riposizionarsi su questi binari
e quindi l’allontanamento dalla filosofia è una logica conseguenza. Secondo Vilfredo
Pareto lo scienziato economico deve fotografare la realtà in maniera oggettiva.
L’economista viene paragonato al fisico e la sua parola d’ordine è la
misurabilità. In questo momento storico l’economia si tramuta in una scienza
che va al di là delle sue capacità, perché pretende di dire l’ultima parola
sulla realtà. L’economia, privata della sua eticità, diviene arida. Uno dei
primi studiosi ad accorgersi di tutto questo è Benedetto Croce, che sostiene
come l’economia matematizzata non è una disciplina che riguarda l’uomo.
L’economia è una forma dell’agire umano, per Croce, in cui il singolo è
responsabile.
Nel
Novecento
il distacco tra economia e filosofia viene meno, ma come detto in precedenza è
un legame equivoco. Gli economisti si rivolgono alla filosofia per trovare un
aspetto metodologico e ci si rivolgerà in particolar modo alla filosofia della
scienza. Karl Popper e Thomas Kuhn sono i due grandi mentori. Il merito del
primo è di aver fatto argine contro l’induttivismo presente anche in economia,
mentre il merito del secondo (che possiede una visione più realista rispetto a
Popper) è di aver avviato una svolta storicista. In questo momento storico
appare il paradigma della complessità, che mette in luce un elemento etico
molto forte nell’economia, e riprende quella dimensione filosofica che si era
persa dopo Adam Smith. Del resto un’economia fondata sul paradigma classico non
può che essere astratta.
Grazie
al paradigma scientifico della
complessità, oggi la filosofia è tornata a caratterizzare l’economia. Un
esempio lampante è rappresentato dal sistema della globalizzazione che
caratterizza le nostre società. L’economia come attività a se stante ha fallito
e l’etica deve tornare al centro del suo interesse. Amartya Sen, che ha fondato
la sua teoria economia sull’etica, ha detto: «non è possibile una pura teoria
economica senza un aspetto etico». Senza l’etica, aggiunge Sen, l’economia non
da risposte concrete ai problemi di oggi.
Qui
si è chiuso il cerchio. L’economia è tornata alla filosofia e adesso
occorre recuperare l’aspetto etico del quale si era liberata. L’etica, oggi
considerata la base da molte aziende che cercano il rilancio, è un elemento
chiave per lasciarci alle spalle questa crisi economica. Tramite l’etica
l’economia può diventare più umana e meno tecnica. Su una base etica possiamo
costruire un’economia che guarda ai veri bisogni dei cittadini. Sul pilastro
dell’etica le nostre aziende possono rilanciarsi nel mercato globale. Questa
crisi economica può essere un’opportunità e può farci riscoprire l’importanza
di una parola che durante l’epoca della technè
è stata messa da parte.
*
Valerio Morabito è nato a Brescia il
22-06-1985, ha vissuto a Messina fino alla laurea magistrale in Filosofia
contemporanea conseguita presso l'Università degli studi di Messina. Sempre
nelle città siciliana ha frequentato un Master in counseling filosofico e
sviluppo etico delle risorse umane. Attualmente vive a Campobasso dove lavora
come consulente filosofico presso il Liceo classico "Mario Pagano" ed
è iscritto ai Giovani Democratici della sezione del capoluogo molisano.
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